Ho frequentato le elementari a Grizzo nel vecchio edificio di via Mazzini e ancora ricordo quegli inverni rigidi, con la fontana di largo Manin, che oggi non c'è più, coperta da vari centimetri di ghiaccio e noi bambini a scivolarci attorno con gli zoccoli.
Per le medie a quei tempi si doveva andare a Maniago, avanti e indietro in bicicletta ogni giorno, la strada era sterrata e ogni tanto si bucava e bisognava tornare a piedi, ma era un divertimento perché si era sempre in allegra compagnia.
Le scelte difficili sono cominciate quando dovevo andare alle superiori. La mia grande passione erano allora le lettere, l'italiano, il latino, il francese. Per le possibilità di lavoro più immediate, alla fine mi sono iscritto all'istituto tecnico Malignani di Udine. Di questa scelta, fatta quella volta a malincuore, non mi sono pentito, perché le lettere e le lingue le ho coltivate comunque e la specializzazione tecnica acquisita mi ha permesso di entrare in un settore affascinante e pieno di prospettive.
In quel periodo sognavo di potermi inserire nel mondo del lavoro, possibilmente in qualche azienda innovativa. Una di queste, in particolare, eccitava la mia fantasia: l'Olivetti, socialmente avanzata e tecnologicamente all'avanguardia.
Per un colpo di fortuna come alle volte succede, ancora prima degli esami per il diploma, il sogno cominciò a prendere i contorni della realtà: era arrivata una convocazione dell'Olivetti per un colloquio. E fu così che all'inizio del 1962 mi ritrovai a Milano, che sarebbe diventata per tanti anni la mia città di adozione. Per me, già abituato a essere lontano da casa per motivi di studio, il fatto di dover partire per Milano a poco più di diciannove anni per lavoro era naturale. Come naturale è stato abituarsi alla nebbia, a quei tempi la caratteristica più nota della città.